Treno in corsa

1922
olio su tela
100×120

Sono ancora recenti i successi di Pannaggi, dopo l’arrivo nella Capitale, quando realizza il suo massimo capolavoro nel 1922 intitolato Treno in corsa.
L’anno seguente la tela viene esposta, in una personale dedicata all’artista, alla Casa d’arte Bragaglia e Marinetti la definisce “uno sviluppo di forze e di velocità, oltre un’anatomia dell’ordigno, sentito più che visto”, confermando la positiva accoglienza del giovane maceratese in seno al gruppo futurista.
Il soggetto scelto dal pittore condensa quelli che sono i principi codificati, nello stesso anno, nel Manifesto dell’arte meccanica futurista, in cui è confermata la passione per “non più nudi, paesaggi figure, simbolismi per quanto futuristi, ma l’ansare delle locomotive, l’urlare delle sirene, le ruote dentate, i pignoni, e tutto quel senso meccanico NETTO DECISO che è l’atmosfera della nostra sensibilità”. Manifesto che viene siglato, in prima stesura, da Pannaggi insieme a Paladini, mentre una seconda e più ampliata versione porta anche la firma di Prampolini, il quale “protestò e diede l’allarme per non essere stato consultato anche lui! Reclamò presso papà-Marinetti e questi con la sua autorità pontificale ci impose di fare un secondo manifesto con la firma di Prampolini”.
“Il nostro manifesto fu così dilungato, diluito, chiacchierizzato”, come si evince dalla lettera autografa ricevuta da Mario Verdone nell’ottobre del 1965.
La locomotiva, dunque, in quanto “macchina” rappresenta uno dei principi ispiratori della nuova estetica, percepita come inderogabile esigenza spirituale. Il treno è tra i temi prediletti dai futuristi, simbolo del progresso scientifico e di una civiltà industrializzata, ma anche ordigno in movimento. E proprio sulla velocità di questo congegno si sofferma Pannaggi, resa mediante l’incontro e la compenetrazione delle linee-forza, d’estrazione boccioniana, regolate da spinte centrifughe e centripete, che generano la forma dinamica.
Alla nitidezza delle linee, che definiscono la struttura plastica di piani e volumi nello spazio, si aggiunge la vivacissima gamma cromatica, perfettamente in linea con i dettami del futurismo della prima ora.
Molti dunque i fattori che concorrono alla formazione del linguaggio pannaggiano di questi anni; lo studioso Roberto Cresti, individua nel “cubismo eclettico” di Franz Marc, antecedente al primo conflitto mondiale, una componente fondamentale nella costruzione del soggetto di questa tela.
Anche il Treno in corsa, come molti altri temi della produzione dell’artista, è stato oggetto di repliche da parte del suo ideatore, ne è un esempio il Vecchio treno (1963) di proprietà degli eredi del pittore e conservato presso i Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi. Pannaggi, infatti, nel reiterare i soggetti, vere e proprie icone delle sue opere, intende preservarli nel tempo e misurarsi con essi in una costante sfida tecnico-professionale.