Mario Mafai
Roma 1902 – 1965
Mafai si iscrive nel 1924 alla Libera Scuola di Nudo, dove conosce Scipione e poi la Raphaël, sua futura moglie, con loro da vita alla Scuola Romana, un raggruppamento complesso e multiforme che si oppone tanto al pedante classicismo novecentista, quanto all’Aeropittura.
Abbandonata l’Accademia la sua formazione artistica si svolge nei musei e nella biblioteca di Storia dell’Arte di Palazzo Venezia, studiando in maniera eclettica El Greco, Goya, Tiziano, Derain.
La produzione degli anni Venti è caratterizzata da modi concitati, con soggetti fantastici e apocalittici.
Il colore squillante, calcolato, timbrico è il vero protagonista, il trait d’union tra le molte personalità che attraversano l’esperienza romana, applicato prevalentemente a soggetti tradizionali come nature morte e paesaggi. È proprio Mafai, alla fine degli anni Venti, il primo a concepire la sua pittura secondo una costruzione tutta tonale, che rimane la caratteristica costante della sua produzione successiva. Il colore per lui è uno strumento che assolve a tutte le funzioni, formale, spaziale, espressiva.
Nel 1930 è a Parigi per alcuni mesi con la moglie, qui conosce i fratelli De Chirico e Chagall.
Tornato a Roma inizia un’intensa attività espositiva alle Quadriennali romane e alle Biennali veneziane ma anche negli Stati Uniti e a Milano.
Negli anni Trenta affianca alle vedute di Roma, le serie dei fiori, soggetti prediletti per tutta la sua carriera.
Nel 1939, per sottrarre la Raphaël alle persecuzioni razziali si trasferisce a Genova, dove frequenta Manzù e Guttuso e riaffiorano alla memoria Goya e Grosz, nei grovigli di nudi che preannunciano l’orrore della guerra.
Tornato a Roma, dopo la guerra si iscrive al PCI e dalle pagine di «Rinascita» si scaglia, con altri artisti, contro l’arte priva di contenuti.
Le mostre personali si moltiplicano in tutta Italia e ottiene moltissimi riconoscimenti, anche nell’ambito della nascente riflessione critica sulla Scuola Romana, esperienza ormai esaurita.
Nel 1948 partecipa alle mostre dell’Art Club.
Nei tardi anni Cinquanta porta avanti una pittura propriamente tonale, sempre più indipendente dal soggetto, volta a sottolineare l’autoreferenzialità del quadro e dei suoi elementi compositivi e caricata di valenze materiche. Negli anni Sessanta giunge alle soglie dell’astrazione.
Muore nel 1965.