Pagliaccetti

1927
olio su tela
70×83,5

“Sono nato pittore, nel senso più puro della parola, e in tutta la mia giovinezza, passata e presente, mi preoccupai sempre di pitture e di plastica e di altri problemi artistici del più schietto lirismo. Ho fatto, e farò ancora, giocattoli, pannelli, marionette, costumi teatrali e scenografie e mi sono infinitamente divertito”, già nel 1919 Depero aveva ben chiaro quello che sarebbe stato il suo futuro nell’arte.
Marinetti, qualche anno dopo, riferendosi all’artista roveretano lo qualifica con il termine “magico” poiché “magicamente, egli crea, crea, crea, costruisce, lancia vaste zone di colori sulle pareti, ridipinge le facciate cattedraliche delle sue montagne trentine, e quasi riplasmerebbe le nuvole dei tramonti alpestri, per foggiare i meravigliosi, giocondi e spaventosi mostri della sua fantasia”.
I pagliaccetti appunto fanno parte di quella moltitudine di figure fantastiche, marionette, pupazzi e robot, nate dalla creatività e dall’ingegno deperiani, le cui premesse erano già evidenti nei proclami del manifesto Ricostruzione futurista dell’universo (1915) e nella mise en scène dei Balli plastici (1917-1918).
Quest’ultima esperienza rappresenta una fonte d’ispirazione iconografica inesauribile per Depero, dalla quale nasceranno molti dei protagonisti dei suoi dipinti.
Anche i personaggi della tela Pagliaccetti prendono spunto dalle marionette dei Balli plastici, influenzati dalle coeve applicazioni di Depero in campo decorativo e pubblicitario. Non sfuggiranno, di fatto, le significative assonanze con un trio analogo di automi, che sembra fare il suo ingresso in una sorta di marcia-balletto, nella scena del grande arazzo della Festa della sedia, realizzato nello stesso anno nella gloriosa Casa d’Arte Futurista Depero a Rovereto, magnifico laboratorio ideato dall’artista nel 1919, finalmente riaperta al pubblico in occasione del centenario del Futurismo. Identico soggetto è riproposto anche nella piccola tavola de Il sabato degli operai eseguita a Torino, sempre del 1927.
Nel dipinto, in cui i tre protagonisti sono completamente isolati su di un fondo scuro, si coniuga magistralmente l’estetica meccanica con l’estro ludico e inventivo che contraddistingue Depero sin dai suoi esordi.