Le muse inquietanti
1950 c.
olio su tela
97×66
Acquisita all’inizio degli anni Ottanta, la tela presenta due dei più celebri soggetti della produzione dechirichiana: le muse inquietanti. Si tratta di una delle innumerevoli versioni derivate dalla prima tela risalente al 1917-1918 in collezione Mattioli, nota anche in prima istanza con il titolo Vergini inquietanti. Pur trattandosi di una tarda versione, datata al 1950, in essa si condensano tutti i dettami della poetica metafisica, di cui l’opera diventa quasi una sorta di manifesto ideale.
Proveniente dalla collezione Nehmad (Milano) e pubblicata nel catalogo generale dedicato all’artista dallo studioso Claudio Bruni Sakraischik, l’opera è ambientata nello spazio urbano di Ferrara, la città foriera di incontri in cui tutto ebbe inizio; sullo sfondo campeggia il suggestivo castello estense fiancheggiato da moderni edifici industriali sormontati da ciminiere che sembrano fare da contraltare alle antiche testimonianze architettoniche, richiamando alla mente la celebre serie delle “piazze d’Italia”.
Lo stesso de Chirico ricorda nelle sue memorie edite nel 1945 ciò che più lo affascinava di Ferrara: “quello che mi colpì soprattutto e m’ispirò nel lato metafisico nel quale lavoravo allora, erano certi aspetti d’interni ferraresi, certe vetrine, certe botteghe, certe abitazioni, certi quartieri, come l’antico ghetto, ove si trovavano dei dolci e dei biscotti dalle forme oltremodo metafisiche e strane.”
Un grande palcoscenico ligneo giunge sino al primo piano, in una prospettiva deformata e incongruente in cui trovano posto oggetti inanimati dalle cromie cangianti quali scatole e balocchi che sembrano convivere pacificamente con tre reperti della scultura antica. Gli spigolosi manichini, realizzati attraverso il sapiente incastro di squadre e regoli, esplicito richiamo agli “interni metafisici”, lasciano il passo a eleganti e “inquietanti” muse vaticinatrici che del manichino da sartoria conservano solo il capo mentre il resto del corpo denota un chiaro riferimento alla statuaria classica.
L’Hera di Samo così come l’Auriga di Delfi o alcuni esemplari di sculture ioniche arcaiche assise possono essere i modelli che presumibilmente hanno ispirato de Chirico nella produzione di questa tela, dove tutto è immerso nella solitudine straniante di uno spazio vuoto, teatralmente artificiale, e bloccato nell’immobilità atemporale. Figure umane-non umane, senza volto e prive di qualsiasi tensione emotiva, occupano insieme ad architetture spopolate e silenziose spazi urbani sospesi e fuori dal tempo e introducono lo spettatore, scavando nell’inconscio, nel sogno e oltre il dato reale, verso mondi enigmatici e misteriosi.