Il ratto delle Sabine
1925
olio su tela
182×300
La rappresentazione di un soggetto come il “Ratto delle Sabine” affonda le sue origini nella notte dei tempi e numerosi sono i pittori e gli scultori che si sono misurati con questo tema nel corso dei secoli. Da Giambologna a Pietro da Cortona, da Nicolas Poussin a Pieter Paul Rubens, da Jacques-Louis David a Eugène Delacroix tanto per citarne alcuni. Ovviamente non mancano altrettanti pregevoli esempi in epoca moderna come attesta perfettamente il dipinto di Primo Conti. Si tratta di un’opera monumentale entrata a far parte della raccolta della Fondazione Cassa di risparmio della provincia di Macerata nel 2008 andando a incrementare la presenza dell’artista toscano nella collezione maceratese insieme ad altri capolavori quali Giotto e Cimabue (1923), Corse al Galoppo (1927) e Nudino di schiena (1941).
Nel periodo in cui realizza il dipinto, del quale esiste un piccolo studio preparatorio Testa di romano, matita su carta, comparso nel 2014 presso la Galleria Pananti Casa d’Aste, l’artista, come molti altri colleghi comprimari, compie il suo personale ritorno all’ordine che si manifesta con il ritorno alla grande pittura. Nel caso specifico di questa opera vi è la ripresa della grande pittura di storia dalle dimensioni solenni, coeva al Trittico del Golgotha, riscuotendo il plauso dello scrittore, critico e amico Corrado Pavolini che difende il dipinto in occasione della Biennale romana del 1925 oggetto di polemiche per il suo marcato espressionismo.
Sono anni in cui gli interessi di Conti spaziano dalle tematiche religiose a quelle più mondane, fino a comprendere appunto quelle più spiccatamente storiche. La tela è affollata da corpi che si muovono e si divincolano con una foga del tutto inedita all’opera di Conti, le figure sono rattrappite e compiono movimenti dissonanti e artificiosi, come quelli dei balletti contemporanei; più che belle fanciulle, le sabine sono stravolte da volti che esprimono una forte ambiguità, giocata tra paura e sensualità. La figura sdraiata in primo piano rappresenta una chiara citazione alle odalische di Delacroix e di Ingres, ma accoglie anche le suggestioni orientaleggianti di alcune sue opere del 1924. La pennellata è ridotta ad un segno asciutto che fa risaltare potentemente le figure, il colore è intenso e conferisce straordinaria qualità espressiva all’opera.