Giotto e Cimabue

1923
olio su tela
108×78

Realizzata da Primo Conti in pieno clima di ritorno all’ordine l’opera rappresenta una delle tele più straordinarie e significative nell’ambito della produzione pittorica dell’artista. L’inizio degli anni Venti del Novecento, infatti, rappresenta un’inversione di tendenza rispetto al periodo dell’avanguardie nel quale i soggetti allegorici, il ritratto, la figura, il paesaggio o la natura morta sono interpretati secondo un nuovo linguaggio che declina in chiave moderna i valori dell’arte antica e rinascimentale, fissati in una dimensione immobile e senza tempo.
Nel caso di Primo Conti l’opera segna l’apice di un processo di ricostruzione dell’immagine e dei soggetti presenti sulla tela, nel quale le forme acquisiscono progressivamente maggiore consistenza e monumentalità grazie anche ad ampie campiture di colore e all’uso di contorni sempre più accentuati. Il rimando alla grande tradizione dell’arte italiana del passato in questo dipinto si evidenzia ancor più nella scelta dei protagonisti raffigurati, il maestro e l’allievo, Cimabue e Giotto; coloro che gettarono le basi della nuova pittura italiana.
Lo stesso critico Cesare Vivaldi nel “Notiziario di Arte Contemporanea” del 1974 ricorda come Primo Conti, tra il 1920 e il 1923, fosse stato l’artefice di “una serie di opere eccezionali, di un impianto geometrico-architettonico assai solido che risente del clima “Metafisico” e più ancora di quello di “Valori Plastici”, nonché del clima europeo che ha i suoi punti focali in Derain e nel Picasso del “periodo Ingres” e che anticipa il gusto dell’art déco nel suo inscrivere ogni figura in un ovale fortemente ritagliato, semplificando e stilizzando la linea (di eredità liberty) e tenendo a ribatterla, a concluderla su se stessa secondo i canoni della silhouette. Quadri come Giotto e Cimabue del 1923, sono capitali per la pittura italiana (e non solo italiana) di quegli anni e degni della più ammirata considerazione”.
Il dipinto entra a far parte della raccolta del Museo Palazzo Ricci nel 2003, rinvenuto presso una nota collezionista che, grazie all’amicizia diretta con Primo Conti, lo aveva acquistato direttamente da quest’ultimo.