Il Cieco

1932
olio su cartone
100×72

La ricerca di Rosai, dopo un inizio futurista, si orienta, a partire dagli anni Venti, verso quella che fu definita la “poetica degli omini”, figure calate in atmosfere sospese, pesanti della sua città natale, in questo caso i lungarni fiorentini. Gli omini, come il cieco, sono figure che nella concretezza quotidiana rappresentano il loro dramma umano. Rosai dipinge il suo mondo, quello degli artigiani, della gente del popolo. Nel 1931 aveva abbandonato la moglie e l’attività di famiglia e aveva preso la sofferta decisione di isolarsi completamente per votarsi a quella che era la sua ragione di vita, la pittura. Da questa nuova fase cambia il modo di dipingere i suoi omini, la pennellata si carica di luce e di bianco, c’è un’attenzione inedita per le figure e per lo spazio in cui sono comprese, l’atmosfera diventa lirica. Il paesaggio è cassa di risonanza della figura del cieco, la sua solitudine è sottolineata dalle strade deserte, le finestre delle case sono buie e vuote proprio come i suoi occhi.