Filippo De Pisis (Tibertelli)

Ferrara 1896 – Milano 1956

Di nobile lignaggio De Pisis inizia sin da bambino ad interessarsi di letteratura e di disegno. Nel 1915 compie un viaggio a Venezia e studia Tiziano, Tintoretto e Tiepolo.
Esentato dal servizio militare per una malattia nervosa, esordisce come poeta crepuscolare con la raccolta Canti della Croara nel 1916 e, nello stesso anno, a Ferrara conosce De Chirico, Carrà e Savinio, che apriranno la stagione metafisica della sua pittura.
Altro personaggio chiave di questi anni è Giorgio Morandi, conosciuto a Bologna, dove De Pisis si era iscritto alla Facoltà di Lettere, inizia inoltre una corrispondenza con Soffici e Tzara.
Nel 1920 si trasferisce a Roma, qui viene a contatto con i futuristi Pannaggi, Prampolini, Depero, collabora con la rivista «Valori Plastici» e studia le opere del Seicento e di Caravaggio, traendone spunti coloristici. Nel 1923 ad Assisi scopre Giotto e Lorenzetti e approfondisce la sua ricerca di sintesi formale.
Il 1925, anno del suo trasferimento a Parigi, segna una fondamentale svolta qualitativa nella sua pittura, abbandona i retaggi accademici in virtù di una grande espressività e immediatezza, che risente della lezione impressionista, cézaniana e fauves. Nelle sue opere si avverte una lirica malinconia, il tratto pittorico è spezzato, ritmato, Montale lo definì “a zampa di mosca”; accanto alle consuete nature morte dipinge paesaggi urbani, nudi maschili ed ermafroditi.
Conosce Picasso e si inserisce nell’ambiente artistico parigino.
Nel 1926 invia tre opere alla prima mostra del gruppo Novecento, la sua pittura pensosa, inquieta e poetica tutta improntata al senso di precarietà, al dubbio, mal si sposa con le certezze del fascismo, tuttavia continuerà ad esporre con i novecentisti.
Negli anni Trenta entra a far parte con Tozzi, Licini, Campigli, Tamburi dell’associazione Les Artistes Italiens de Paris, partecipando alle esposizioni del gruppo.
In questo periodo compie tre soggiorni in Inghilterra, dove realizza una serie di paesaggi con una cromia di stampo nordico, e lavora come critico per le principali riviste artistico-letterarie italiane.
Nel 1939, tornato in Italia, si stabilisce a Milano, conosce Guttuso, Cantatore e Tomea.
Dal 1943, quando il suo studio milanese è distrutto dai bombardamenti, è a Venezia dove apre uno studio e gira con in spalla l’inseparabile pappagallo Cocò, protagonista di versi e quadri.
La guerra segnò gravemente la psiche di Filippo De Pisis che in questi anni intensificò la produzione di nature morte, caricate di cupe ombre nere e di segni di morte.
Si riaffacciano sempre più i segni della malattia nervosa che aveva avuto da ragazzo e che lo costringono a lunghi soggiorni in clinica, nel frattempo la sua opera ottiene grandi riconoscimenti alla Biennale di Venezia.
Le ultime opere sono labili tratti di colore su tele lasciate grezze, dette “tele di ragno”.
Muore a Milano nel 1956.