Tramonto con due covoni

1905
pastelli su cartone
49×47

Tra il 1899 e il 1906, anno della partenza per Parigi, Severini risiede più o meno stabilmente a Roma, città che già dal 1895 aveva accolto l’amico e maestro Giacomo Balla. Proprio dall’atelier di quest’ultimo, reduce dalle esperienze parigine, insieme all’amico e collega Boccioni, apprende i primi rudimenti del divisionismo oltre alla conoscenza di certi pittori impressionisti e postimpressionisti.
L’incontro con Balla sarà determinante per Severini: “Giacomo Balla era un uomo di un’assoluta serietà, profondo, riflessivo e pittore nel più ampio senso della parola. […] Fu una grande fortuna per noi d’incontrare un tale uomo, la cui direzione decise forse di tutta la nostra carriera”.
Il maestro torinese li esorta a sperimentare il “vero”, “in una gara di fedeltà ottica, volta non certo a ridurre il motivo, ma anzi a dargli ogni possibile profondità, e a misurarsi con le varie fonti di luce (naturale o artificiale) per tentare di offrirne una trascrizione competitiva, quasi ricostituendo sulla tela la sorgente dei raggi”.
Severini dunque rivolge, inizialmente, la sua attenzione ai paesaggi ripresi en plein air, concentrandosi prevalentemente sia sull’osservazione del vero sia sullo studio delle fonti luminose.
Già nella celebre tela del 1903, Porta Pinciana al tramonto, una delle prime opere nel curriculum del cortonese, appare evidente come gli insegnamenti del maestro abbiano permeato lo stile dell’epigono, tanto nella scelta del tema quanto nella resa pittorica.
Due anni dopo realizza questa opera, nella quale preferisce scrutare gli effetti della luce naturale, in particolare quella crepuscolare, sul paesaggio; coadiuvato anche dall’uso sapiente della tecnica del pastello, tanto cara sia a Balla, sia a molti dei paesaggisti attivi tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
Originale è altresì il taglio compositivo, di tipo fotografico, che privilegia un’impostazione diagonale da sinistra verso destra. Dalle tonalità piuttosto scure e dense, che pervadono il terreno e i covoni che su di esso poggiano, si passa ad un cielo percorso dagli ultimi bagliori di sole che precedono il tramonto, resi attraverso pennellate sottili e filamentose, che riportano alla mente alcune delle tele più note di Pellizza o di Segantini.
Alla resa generale del dipinto contribuisce inoltre la cornice, volta a simulare una finestra che si apre sul paesaggio campestre, quasi a voler favorire un coinvolgimento empatico-emotivo con lo spettatore.