Potenza simultanea del duce
1939/40 c.
legno di ciliegio
170x50x10
“Intagliatore dello spazio e che nel legno ha plasmato l’onda del vento e del pensiero”. La ormai nota definizione di Fortunato Depero ci introduce ad un altro comprimario della scena del Secondo Futurismo, non solo marchigiana: lo scultore Umberto Peschi.
Dalla natia Macerata ben presto si trasferisce a Roma, nel 1937, al seguito degli amici e colleghi Sante Monachesi e Bruno Tano, con i quali prende uno studio in via delle Colonnette. L’anno precedente conferma la sua adesione al “Gruppo Futurista Maceratese”, partecipando attivamente a molte delle iniziative promosse dalla compagine.
Il superamento dei confini marchigiani, ovviamente, gli consente di incontrare e conoscere molti dei veterani più o meno giovani che hanno militato nelle fila futuriste; tra questi è soprattutto Enrico Prampolini, incontrato a Venezia in occasione della Biennale del 1938, a destare il suo profondo interesse, a tal punto da instaurare con lui “uno stato di simpatia che il tempo avrebbe di più consolidato”. Sarà proprio l’artista modenese, nel corso degli anni Cinquanta, a introdurlo tra i proseliti dell’Art Club e a consigliarlo per il meglio al fine di individuare la propria cifra stilistica.
Al periodo giovanile futurista dell’aeroplastica appartiene il bassorilievo in ciliegio Potenza simultanea del duce, che ha come riferimento diretto la vittoriosa campagna d’Etiopia del 1935-36, promossa dal governo fascista, e alla quale Peschi ha preso parte in prima persona essendo stato richiamato alle armi.
Sull’onda dell’esperienza nel Corno d’Africa, i cui ricordi sono affidati al suo Diario di un legionario, Peschi concepisce l’opera sfruttando tutte le potenzialità che gli vengono offerte da un materiale duttile come il legno. La composizione scultorea è incentrata sulle forze armate fasciste, aeree, militari e navali, nell’istante in cui si apprestano a lasciare Roma alla volta della terra etiope, il tutto avviene sotto la supervisione di Benito Mussolini, riconoscibile attraverso il profilo stilizzato che appare in secondo piano.
Marinetti, all’apertura della Biennale del 1940, riferendosi allo scultore dice: “Umberto Peschi nella Potenza del duce ci porta brillantemente alla scultura futurista”. Carlo Lotti, nel giornale “Vedetta fascista”, commenta positivamente sulla comunicativa e sulla potenzialità dinamica di questo straordinario legno.
Al termine del secondo conflitto mondiale, tuttavia, avviene la svolta nel linguaggio peschiano, sino a quel momento tendenzialmente futurista. La disillusione e il disastro morale e civile portati dalla guerra, infatti, segnano nell’artista un ripiegamento verso un tipo di figurazione di stampo martiniano, precedendo quella che è la stagione della maturità orientata all’astrazione.
Tra le opere che anticipano questa fase delle sue ricerche si può annoverare anche il piccolo legno intitolato Articolazione, antecedente di quasi un decennio alla “poetica del tarlo” che lo accompagnerà sino al termine dei suoi giorni.