Natura morta

1962
olio su tela
30×40

“Nelle sue ultime tele Morandi raggiunge il massimo della semplicità e della tensione. L’arsenale degli oggetti si è ancora ridotto: qualche bottiglia, qualche scatola o vaso, schierati in un isolamento precario, e che spesso producono meravigliose corrispondenze di colori e di tonalità, fra un quadro e l’altro” (Floersheim 1959).
L’opera, acquisita nel 1982, si pone, come precisa lo studioso Georges Floersheim, tra gli ultimi dipinti realizzati dall’artista, alla fine di un percorso creativo, compendio dei principi estetici fondamentali della poetica morandiana. L’apparente semplicità del soggetto nasconde una complessità di significati frutto del serrato dialogo intrattenuto da Morandi con la realtà circostante.
Le bottiglie non sono altro che forme, oggetti comuni raccolti magari dal rigattiere che, nel loro silenzioso isolamento, si offrono quali preziosi interlocutori. La luce frontale abolisce le ombre lasciando solo intuire la tridimensionalità dello spazio e sottolineando la densità della materia. I toni della composizione sono generalmente chiari, variazioni tonali del bianco, grigio, rosa e giallo. In quest’ultima fase, infatti, Morandi abbandona il rosso-aragosta, il blu lapislazzuli e il bianco abbagliante utilizzati in molte opere della maturità optando per una maggiore pacatezza della gamma cromatica. Così come sembra anticipare già nel piccolo Vaso di rose del 1947, altra opera morandiana presente nella raccolta di Palazzo Ricci.
Nella Natura morta viene raggiunto il massimo della semplicità: i contorni si sfaldano e le bottiglie si stringono le une alle altre, come cercando reciproca consolazione, creando un’unica figura geometrica in uno spazio immobile. Morandi, dice de Chirico “partecipa del grande lirismo creato dall’ultima profonda arte europea: la metafisica degli oggetti più comuni” e continua evidenziando come l’artista cerchi di “ritrovare e di creare tutto da solo: si macina pazientemente i colori e si prepara le tele e guarda intorno a sé gli oggetti che lo circondano, dalla sacra pagnotta, scura e screziata di crepacci come una roccia secolare, alla nitida forma dei bicchieri e delle bottiglie. […] Egli guarda con l’occhio dell’uomo che crede e l’intimo scheletro di queste cose morte per noi, perché immobili, gli appare nel suo aspetto più consolante: nell’aspetto suo eterno” (La fiorentina primaverile 1922).
Ogni natura morta, pur nella reiterazione del motivo, parte di un lessico costante e ricco di significati, assume una specifica qualità tonale e materica frutto del rigore intellettuale dell’artista. Negli ultimi anni di vita, Morandi cerca di ricostruire quella realtà che gli sfugge aumentando il rigore geometrico delle nature morte che si offrono come specchi fedeli del suo mondo interiore.