Limoni o natura morta con sei limoni

1941
olio su tela
34×38

“Ho sentito dire e ho letto purtroppo parecchie volte questa frase: troppe nature morte, troppe mele, troppi aranci, troppi pomidori ecc. Ohimè! poveri oggetti così cari, così vari di colorazione, di tonalità, di forma, così espressivi, così buoni! Pentolini bianchi, azzurri, rossi, scodelle aperte alla luce come fiori, frutta, palpitanti di vita e oggetti tutti dai più umili ai più ricchi, voi siete i modelli più docili e più esigenti degli artisti, voi potete servire alle più belle e più libere architetture, voi potete dare le luci e le ombre più impreviste e più profonde; per vostro mezzo si possono esprimere tutti i sentimenti, dai più semplici ai più complessi […] nei momenti più disperati della mia vita di artista, io ho potuto riconciliarmi con la pittura dipingendo umilmente una scodella, un uovo, una pera”. Le parole di Felice Casorati, apparse sul quotidiano “La Stampa” nel 1928, introducono la poetica del quotidiano tanto cara all’artista, rappresentando una componente importante nella produzione del pittore piemontese.
Nature morte e paesaggi, infatti, insieme alle eleganti e enigmatiche figure femminili, costituiscono una costante nell’attività pittorica di Casorati, reiterando in maniera quasi maniacale e ossessiva soggetti e temi.
Tra questi, oltre alle celebri uova che fanno la loro apparizione già nel secondo decennio del Novecento, si collocano frutta e ortaggi di varia tipologia, come i limoni che campeggiano in questa bella tela. Essa, infatti, fa parte di un corpus di tre opere, entrata a far parte della raccolta maceratese nel 1983, nella quale, al pari di altre nature morte, l’artista mette in scena un sottile gioco in cui lo spazio, la luce e i volumi sono protagonisti assoluti.
Da angoli o scorci del suo studio, non ben identificabili come in questo caso, prendono vita i suoi still life, i sei agrumi dal giallo cangiante si dispongono su un piano inclinato ricreato attraverso una larga campitura di colore, così come la cortina di fondo che delimita lo spazio.
Casorati realizza il dipinto nel 1941, anno che vede l’ingresso dell’artista nella celebre Accademia di Belle Arti di Torino in qualità di docente della cattedra di Pittura; l’anno seguente lo espone alla XXIII edizione della Biennale di Venezia accanto a altre nature morte, di implicazione “neometafisica”, nell’ambito di una sala personale che vede riunite ventinove opere di diverso soggetto e datazione.
La tela non fa altro che confermare, come già evidenziato da Piero Torriano in un articolo de “L’Illustrazione Italiana” del 1932, il senso impeccabile che l’artista ha “della disciplina spaziale, di modo che la sua composizione, benché in superficie, riesce sempre equilibrata, armoniosa e spesso anche perfetta. Meno suadente il colore, che non dà corpo e si distende inerte, trova pure alle volte accenti delicati e accordati con grande finezza. S’aggiunga infine quel suo modo d’illuminare, così dolce eguale pacato, che ravvolge ogni cosa in un’atmosfera d’incantamento”.
Casorati colloca le sue nature morte in luoghi dal silenzio claustrofobico, in interni fuori dal tempo, sospesi in un’atmosfera indefinita e di incantata immobilità, contrassegnate da una calibrata sintesi plastica e da una ricerca cromatica asciutta e essenziale.