Lucio Fontana

Rosario di Santa Fé 1899 – Comabbio 1968

Le ricerche artistiche degli anni Sessanta non possono prescindere dal lavoro di Lucio Fontana che apre nuove prospettive sulla modalità di concepire l’opera d’arte, non più come una fonte d’esperienza, bensì come un evento sempre mutevole, mai uguale a sé stesso.
Nato da genitori italiani emigrati in Argentina, si trasferisce a Milano nel 1905, dove giovanissimo inizia l’apprendistato nella bottega paterna come marmista.
Si arruola come volontario durante la Prima Guerra Mondiale ma viene ferito e congedato, torna dunque a Milano e si diploma geometra.
Nel 1921 decide di trasferirsi nuovamente per alcuni anni in Argentina, dove apre un proprio studio e vince numerosi concorsi per monumenti pubblici, nel 1926 tiene la sua prima personale.
Nel 1928 si iscrive all’Accademia di Brera e frequenta i corsi di Adolf Wildt che gli veicola l’interesse per i materiali, specie le pietre colorate, la terracotta e l’oro, e un approccio anti-mimetico.
In questi anni è vicino a Corrente e alla Galleria Il Milione e frequenta artisti come Licini, Ghiringhelli, Soldati, con i quali si orienta verso una produzione non figurativa, come mostra una serie di tavolette graffite in cemento colorato.
Nel 1934 aderisce al gruppo francese Abstraction-Création e nel 1935 espone alla prima collettiva di arte astratta nello studio di Casorati e Paulucci a Torino.
Sempre più acclamato dalla critica, partecipa con grande successo alla Quadriennale di Roma e a molte altre mostre, specie a Milano.
Nel 1935 inizia l’attività di ceramista nella cittadina ligure di Albisola, proseguita nel 1937 alla manifattura di Sèvres, le opere prodotte vengono esposte a Parigi, dove conosce Mirò, Tzara e Brancusi.
Durante la Seconda Guerra Mondiale si stabilisce a Buenos Aires, insegna Modellato all’Accademia e apre una scuola d’arte privata, l’Accademia d’Altamira, è qui che con alcuni giovani artisti ed intellettuali elabora il Manifesto Blanco, vero antecedente delle sue scelte artistiche successive.
Tornato a Milano nel 1947 pubblica il primo Manifesto dello Spazialismo, firmato da Joppolo, Kaisserlian e Milani, con i quali da vita al Movimento Spaziale. Gli spazialisti vogliono abolire il quadro da cavalletto, l’opera d’arte deve trasmettere l’energia del gesto che l’ha prodotta, deve “presentificare” il futuro, ossia quella dimensione spaziale e infinita, conosciuta con le nuove leggi fisiche e le esplorazioni spaziali.
I principi del manifesto si esplicano nella creazione degli Ambienti Spaziali, primo fra tutti quello alla Galleria del Naviglio nel 1949, costituito da una stanza buia in cui sono appesi oggetti informali illuminati dalla luce di Wood, che suscita entusiasmo e scalpore per la sua capacità di sovvertire le categorie percettive messe in atto nella fruizione artistica, “l’ambiente non è né pittura né scultura ma forma, colore, suono, attraverso gli spazi”.
Sempre nel 1949 inizia la serie dei Concetti Spaziali poi declinata negli anni in altre serie dallo stesso titolo, in cui supera la bidimensionalità della tela forandola, in questo modo chiude una volta per tutte con il concetto tradizionale di quadro, inteso come schermo opaco della realtà, esso diventa “fenomeno” grazie alla luce.
Dagli anni Cinquanta collabora frequentemente con i più importanti architetti italiani.
Nel 1951 espone alla Triennale di Milano Luce Spaziale un grande arabesco di tubi al neon, materiale che da quel momento godrà di straordinaria fortuna nel mondo dell’arte.
Sempre in quell’anno inizia la serie delle Pietre, dei Gessi e dei Barocchi.
Nel 1952 vince, ex-equo con Minguzzi, il concorso per la Quinta Porta del Duomo di Milano.
La sua fama si espande in tutto il mondo, partecipa alle principali manifestazioni artistiche internazionali e continua a pubblicare vari manifesti spazialisti.
Nel 1958 iniziano i celebri tagli, denominati Attese.
Del 1959 è il ciclo delle Nature, sfere in bronzo, gres o terracotta solcate da profondi tagli.
Uomo di grande generosità, regala spesso le sue opere ai giovani artisti, pur sapendo che nella maggior parte dei casi saranno immediatamente vendute, e acquista molte loro opere per incoraggiarli a proseguire nelle loro ricerche.
Negli anni Sessanta di ritorno da New York, realizza una serie di opere su lastre di metallo, ispirate dalle luci della metropoli americana.
L’ultima serie è, nel 1967, quella delle Ellissi, in legno laccato dai colori squillanti.
Muore nel 1968.