Carlo Carra'

Quargnento 1881 – Milano 1966

Inizia a disegnare giovanissimo a seguito di una lunga malattia che lo costringe molti mesi a letto. La sua prima formazione è a Milano, nell’ambito della decorazione, lavoro che nel 1900 lo porta a Parigi, per eseguire le decorazioni di alcuni padiglioni dell’Esposizione Universale.
Qui s’innamora della grande pittura francese, da Delacroix a Manet, a Renoir e Cézanne.
Dopo una breve parentesi londinese, in cui conosce l’opera di Turner e Constable e il marxismo, torna a Milano, dove nel 1906 si iscrive all’Accademia di Brera, praticando una pittura dalle tematiche sociali, ancora di stampo divisionista. Incontra Boccioni.
I primissimi anni del secolo lo vedono inoltre coinvolto con i circoli anarchici, fondamentale, per la sua pittura successiva, la partecipazione ai funerali dell’anarchico Galli a Milano, nel 1904, esperienza in cui intuì i temi fondamentali del dinamismo e la necessità di portare lo spettatore al centro del quadro.
Nel 1910 è tra i firmatari del Manifesto tecnico della Pittura Futurista, insieme a Boccioni, Balla, Severini e Russolo. Attivo nella promozione del movimento, collabora con le riviste d’avanguardia e partecipa all’avventura parigina del gruppo nel 1912, in quell’occasione conosce i cubisti, Medardo Rosso e Apollinaire.
Lo scoppio della guerra coincide con il progressivo abbandono del Futurismo, attraverso la pratica cubista del collage, e con gli studi su Giotto e Paolo Uccello.
L’esperienza bellica, vissuta in prima linea, da convinto interventista, gli provoca forti crisi nervose, viene ricoverato a Ferrara, dove conosce i fratelli De Chirico e De Pisis, con i quali elabora i principi della Metafisica. Sono gli anni dei manichini e degli accostamenti incongrui.
Dal 1921, avvertendo il rischio di una deriva accademica della pittura metafisica, apre una nuova fase, il cosiddetto “realismo magico”, del tutto autonoma, con una pittura che sottrae le cose alla contingenza, le purifica e ne rivela l’essenza segreta.
La seconda metà degli anni Venti è segnata da un intenso lavoro sul paesaggio, praticato sulle coste della Versilia, in cui l’elemento naturale non viene descritto realisticamente ma filtrato liricamente dal recupero della grande tradizione italiana, con rimandi a Masaccio e a Giotto.
Negli anni Trenta mescola le suggestioni giottesche ad una costruzione figurativa imponente, con grandi figure che occupano tutto lo spazio del quadro e una cromia che ricorda quella dei materiali edilizi di rivestimento, opere che sfociano nell’impegno murale.
Negli anni post bellici, parallelamente all’inesausta attività di critico, svolta sulle principali riviste italiane ed europee, semplifica ulteriormente la sua pittura, con un’accentuazione della sintesi compositiva. Carrà ha un rapporto contemplativo con il mondo e da vita ad una figurazione che è, al contempo, alta e quotidiana.
Muore a Milano nel 1966.