Umberto Peschi

Macerata 1912 – 1992

“L’arte è un sacerdozio, una cosa troppo seria, che nel mio caso si è presa tutta la mia vita” con queste parole e con le sue opere Peschi ben esemplifica quello straordinario binomio arte-vita che caratterizza, almeno negli intenti, tanta pittura del Novecento.
Durante gli studi artistici e l’apprendistato presso lo scultore De Angelis, in cui mostra eccellenti doti d’intagliatore, si avvicina al costituendo gruppo futurista maceratese, intitolato nel 1932 ad Umberto Boccioni.
Del gruppo facevano parte tra gli altri Bruno Tano e Sante Monachesi, con i quali si reca a Roma nel 1937 ed entra a far parte del circolo dei futuristi romani, Balla, Prampolini e Depero.
Gli anni che seguono la Prima Guerra Mondiale sono caratterizzati da una profonda consonanza con il Manifesto dell’Aeropittura (1929), Peschi traspone nel legno il tentativo di abbracciare la molteplicità, attraverso un segno rapido e una grande sintesi figurativa, egli esprime il suo ideale politico, nella convinzione che l’arte possa rinnovare la società.
L’esperienza in trincea, come soldato volontario in Etiopia, lo segna in maniera irreversibile e lo induce a ripensare la sua opera in termini naturalistici, con stilemi arcaizzanti e martiniani in cui manifesta plasticamente l’azzeramento di ogni certezza.
Dai primi anni Cinquanta opera all’interno dell’Art Club con Prampolini, Dorazio e Fiamma Vigo, la sua opera tende sempre più verso l’astrazione geometrica che è una sorta di rivelazione, una scrittura nello spazio. Sono gli anni della “poetica del tarlo”, come superamento della logica materialista insita nel gesto scultoreo: la mano, come il tarlo, si muove alla cieca. Egli opera una formalizzazione linguistica dei soggetti, volta a smorzare ogni retorica.
Espone spesso in Italia e nel mondo anche se privilegia la piccola dimensione provinciale maceratese, dalla quale non si allontana mai, lavorando nel suo storico studio in via Lauro Rossi.
Muore a Macerata nel 1992.