Natura morta bucranio
1930
olio su tela
40×45,5
Nella nativa Torino, città in cui avviene la sua formazione influenzata dalla pittura di Giacomo Grosso e dall’ambiente letterario dominato da personaggi del calibro di Enrico Thovez, Guido Gozzano, Arturo Graf e Giovanni Cena, Felice Carena approda ad un linguaggio personale in direzione simbolista con particolare attenzione ad artisti quali Leonardo Bistolfi, i Preraffaelliti, Giovanni Segantini, Arnold Böcklin, Auguste Rodin e il francese Eugène Carrière.
Al 1906 risale il suo trasferimento a Roma, vincitore del Pensionato Artistico Nazionale, con il conseguente inserimento nell’ambiente culturale della Capitale, che stimola Carena ad un rinnovamento stilistico più maturo, autonomo e decisamente originale.
Tra il 1912 e il 1913 si conclude la prima fase della produzione dell’artista che abbandona le stesure sfumate e indefinite a favore di una pittura più corposa e sintetica, dal cromatismo brillante, intenso e steso a campiture compatte.
Dal primo dopoguerra, il dibattito artistico si incentra sul “ritorno all’ordine” attraverso il recupero di una solidità volumetrica connessa alla riscoperta della grande tradizione pittorica del Trecento e del Quattrocento e che per Carena ha decisamente uno sviluppo personale allargando i riferimenti alla tradizione del Cinquecento e del Seicento.
Al periodo del suo soggiorno fiorentino, iniziato nel 1924 con l’assegnazione della cattedra di pittura presso l’Accademia di Belle Arti del capoluogo toscano, risale la suggestiva natura morta presente in collezione, realizzata nel 1930, anno di uscita della sua prima monografia curata da Antonio Maraini, e che documenta il passaggio di Carena alla scelta del piccolo formato. Al pari di altre nature morte coeve, dove spesso sono protagoniste le conchiglie, in quella conservata a Palazzo Ricci, con precisi rimandi alla pittura seicentesca, l’artista, quasi fosse una sorta di memento mori, dispone su di un drappo rosso, con grande rigore, un’imponente bucranio affiancato da un vaso con fiori recisi e da due libri sovrapposti, il tutto avvolto in un’atmosfera sospesa da una luce obliqua che intensifica le ombre degli oggetti disposti sulla tela.
Come lo stesso Carena riporta in un suo scritto del 1934: “L’Arte è per me: dare un ordine alle cose. Certo non penso, dicendo questo, a un freddo accademismo corretto (ché questo mi fa terrore come certi voluti arcaismi e simbolismi), ma penso ad una armonia di linee e piani e luce”.