Felice Carena
Cumiana 1879 – Venezia 1966
Carena si forma all’Accademia Albertina di Torino dove frequenta un ambiente di area simbolista. Negli stessi anni, sull’onda della sua formazione, in un viaggio parigino orienta i suoi interessi verso Manet, Millet e Carrière, piuttosto che verso Cézanne, punto di riferimento per la contemporaneità.
Nel 1906 si trasferisce a Roma, dove si inserisce nell’ambiente artistico ed inizia ad esporre opere in cui al sostrato simbolista (notevole l’influsso di Segantini) e tardo romantico (preraffaelita) si sovrappone la tradizione, i grandi maestri del Rinascimento e del Barocco, ammirati nelle chiese e nei musei della capitale.
Nel 1912 ottiene una sala personale alla Biennale di Venezia e nel 1913 è tra i membri del comitato ordinatore della “Prima Mostra della Secessione romana”, dove vengono esposti impressionisti e post impressionisti.
Dal 1922 al 1924 organizza presso gli Orti Sallustiani lezioni d’arte a cui partecipa, quella che può essere definita, la seconda generazione della Scuola Romana, Cavalli, Capogrossi e Pirandello.
Nel 1924 gli viene assegnata per ‘chiara fama’ la cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze, di cui in seguito diverrà direttore, paradossalmente nel 1923 aveva scritto un articolo sulla necessità di abolire le accademie, in cui la tecnica è spesso trascurata, in virtù di un utopico ritorno alla pratica di bottega; quando è chiamato ad insegnare Carena sceglie i modi di un maestro antico, trasformando la sua villa in un cenacolo aperto a tutti. A Firenze stringe una forte amicizia con Soffici.
Tutta l’opera di Carena è intessuta di rimandi e citazioni dell’antico, egli si trova dunque in consonanza con le tendenze di ritorno all’ordine degli anni Venti e Trenta.
La vera passione di Carena è la pittura veneziana da Bellini, a Giorgione, da Tiziano a Tintoretto, dal 1945 egli sceglie Venezia come sua città d’elezione, la città in cui dice di aver “scoperto la luce”.
Nel 1948 conosce Kokoschka alla Biennale e ne rimane profondamente influenzato, il suo espressionismo si riverbera nelle opere di Carena, imprimendo una carica vitalistica all’impianto classico. Carena elabora un personale concetto di arte in cui non esistono cesure storiche e cronologiche, le ricerche di Goya e Kokoschka sono vicine alla foga espressiva dell’ultimo Tiziano, in un continuo gioco di rimandi tra presente e passato, in cui l’artista trova il suo posto e la sua peculiare modalità espressiva.
Muore nel 1966.