Composizione

1954 c.

sacco, combustione, olio su tela riportato su cartone
25×18,5

L’altro volto che opera nel filone della ricerca informale, insieme a Fontana, è certamente Alberto Burri, e tra gli artisti italiani è quello che maggiormente ha avuto apprezzamenti e riconoscimenti a livello nazionale e internazionale.
Nell’approccio al verbo non figurativo, o meglio informale, collettore di comportamenti estetici differenziati, Burri è quello che meno concede alle tecniche tradizionali, preferendo orientarsi verso l’utilizzo della mera materia che diventa protagonista assoluta delle sue opere.
Ed ecco allora fare la loro apparizione, nel corso degli anni Cinquanta, i primi catrami, le muffe, veri e propri labirinti segnici, i gobbi e i sacchi, una cifra stilistica inconfondibile nell’ambito della produzione burriana.
Alle ricerche di questi anni è riconducibile l’opera Composizione, che può essere avvicinata alla serie delle “Pagine”. Ispirato dal poeta Emilio Villa, infatti, l’artista comincia a costruirsi le copertine e le pagine interne di alcuni libri, recuperando così un’arte antica.
Questo tipo di creazioni, anche se su dimensioni piuttosto ridotte, gli offre l’opportunità di utilizzare le materie che andava indagando in quegli anni: un lembo di sacco costellato da strappi, bruciature, abrasioni, suture e rattoppi.
Non pago dei traguardi raggiunti, Burri continua a passare in rassegna le categorie organiche della natura, sperimentando le combustioni, i legni e i ferri, vere e proprie tramature metalliche che scandiscono la partitura spaziale.
I materiali sin qui esplorati dall’artista, lasciano il passo, negli anni Sessanta, al prodotto industriale per eccellenza: la plastica, ovvero il cellophane, trasparente o colorata, percorsa da imperscrutabili crateri determinati dall’uso del fuoco.
Agli anni Settanta invece appartengono i cretti, superfici screpolate più o meno estese di caolino, colla e pigmento, bianche o nere.
I cretti vengono affiancati allo stesso tempo dai cellotex, materiale tipicamente industriale come il cellophane, particolarmente prediletto da Burri.
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, l’artista umbro mette a punto la serie dei grandi cicli organici, quali Viaggio, Orti e Sestante; proprio quest’ultimo rappresenta il momento di massima esplosione cromatica.