Fabio Failla
Lucca 1917 – Roma 1987
Discendente di Padre Matteo Ricci, Failla si forma a Firenze da autodidatta, osservando la grande tradizione artistica italiana nelle chiese e nei musei, e poi nello studio del pittore Vagnetti.
Nel 1939 combatte nella Seconda Guerra Mondiale. Imprigionato dai tedeschi nel 1943, riesce a liberarsi e si rifugia nelle Marche, a Pollenza, presso la famiglia materna.
Nel 1945 tiene a Macerata la sua prima personale.
Dal 1946 decide di trasferirsi a Roma, dove esordisce con una personale alla Galleria Chiurazzi nel 1948. La città di Roma è fortemente presente nel suo immaginario pittorico, in particolare le sue architetture trasfigurate in modo metafisico. Pur dipingendo dal vero egli reinventa la realtà, senza tuttavia alterarla, i suoi cortili romani sono popolati di preti e monache, rappresentati in fila due a due, con un rigore iper-realistico che conferisce all’immagine un’atmosfera irreale, fantasiosa. La realtà è riproposta attraverso una ripetizione ritmica, caricata di una sottile ironia.
La cromia è timbrica e risente del tonalismo dell’ambiente romano, innestata su una rigorosa costruzione formale, in cui si ravvisano le origini toscane.
Negli anni Cinquanta partecipa alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma.
Dal 1955 espone negli Stati Uniti.
Nei primi anni Settanta si trasferisce a Venezia, iniziando una lunga serie di vedute, dall’atmosfera irreale, che rendono la grandezza e il senso di tragica precarietà che aleggia nella città lagunare.
Ma è Roma la sua musa, la città rimane protagonista incontrastata di tutta la sua produzione anche negli anni Ottanta con atmosfere liriche e sospese, in cui si ritrova la magia del quotidiano, e risuona il “silenzio delle pietre”.
Muore nel 1987.