Arturo Martini
Treviso 1889 – Milano 1947
Figura di riferimento fondamentale per quanto concerne la scultura del Novecento, Arturo Martini vive e segna, con la sua costante e poliedrica ricerca, quasi un quarantennio di arte italiana, dai primi anni della dissidenza, all’avanguardia, dal ritorno all’ordine, al monumentalismo fascista, fino alle ultime sperimentazioni degli anni Quaranta in cui mette in dubbio le possibilità stesse della scultura.
La sua prima formazione è di natura prettamente artigianale nella Scuola Serale di Arti e Mestieri, ma soprattutto nell’ambito delle fabbriche di ceramica trevigiane, esperienza decisiva per la produzione degli anni Dieci. Egli rinnova profondamente lo statuto della scultura in ceramica ed è anche designer, dal 1909 al 1911, nella fabbrica dell’industriale ceramista Gregorio Gregorj.
Nel 1907 riesce, nonostante le umili origini, a trasferirsi a Venezia dove frequenta l’Accademia e scopre l’opera di Medardo Rosso, questo lo spinge alla ricerca di un ambiente più aggiornato e vivace, infatti nel 1909 si trasferisce a Monaco, dove conosce, oltre all’Espressionismo, un approccio antiaccademico all’arte classica, e viene a contatto coi fratelli De Chirico.
Dal 1908 al 1913 è attivo con Gino Rossi, tra i Dissidenti di Ca’ Pesaro.
Durante la Prima Guerra Mondiale apprende le tecniche della fusione del bronzo grazie ad un incarico come fonditore di armi.
Negli anni Venti partecipa alle iniziative del gruppo Novecento e propone l’espressione di istanze contemporanee attraverso soggetti classici, con esiti formali che conducono ad una lettura dell’opera come un insieme di segni che hanno una rilevanza in sé e non in relazione al soggetto narrativo.
Tra 1928 e 1935 vive un fecondo periodo di sperimentazione, le opere sono molto diverse le une dalle altre e sono animate da un’interiore ansia di auto superamento.
Dal 1934 riceve dal Regime incarichi per opere monumentali, genere con cui si era confrontato sin dagli anni Venti, e che lo porta ad esiti innovativi, specie nell’adozione di materiali inusuali come il gres, e con soluzioni allegoriche ricche di citazioni e rimandi. Le difficoltà suscitate delle opere pubbliche, spesso mal recepite, la stanchezza fisica di tali imprese conducono lo scultore a dedicarsi, a partire dal 1939, alla pittura di stampo impressionista e vicina al gruppo milanese Corrente.
Dal 1941 gli viene affidata la cattedra di Scultura all’Accademia di Venezia. I primi anni Quaranta sono segnati da una profonda crisi, con moltissime opere distrutte dall’autore, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra corpo e spazio, all’impianto essenzialmente figurativo si sovrappongono elementi di scomposizione di matrice picassiana. Sono anni di intenso dialogo interiore con il proprio passato e con le avanguardie d’inizio secolo, in cui perviene a soluzioni portate poi avanti dallo Spazialismo e da Lucio Fontana.
Nel 1945 pubblica La scultura lingua morta, un pamphlet ironico e disincantato sulle sorti della scultura, che necessita di un bagno purificatore per poter risorgere.
Muore a Milano nel 1947.