Alberto Martini
Oderzo 1876 – Milano 1954
Figlio del pittore e professore di disegno Giorgio Martini, Alberto prosegue la tradizione di famiglia dedicandosi giovanissimo alla pittura e al disegno, rivelando una particolare predilezione per la grafica.
Nella pittura e negli acquerelli tratta soggetti naturali indagati in modo analitico, e soggetti popolari in chiave divisionista, accompagnati da suggestioni dell’Espressionismo nordico, studiato a Monaco nel 1898.
Agli inizi del secolo si concentra principalmente sull’attività d’illustratore, maturando una tecnica litografica nuova, molto raffinata, con un tratto ispirato al Cinquecento tedesco nelle incisioni del Dürer e di Cranach, e al tardo ottocento inglese, in particolare ai Preraffaelliti.
Illustra testi medievali, simbolisti e tardo-romantici, mostrando una certa predilezione per i temi macabri e misteriosi: al 1901 risale un ciclo di 19 disegni sulla Divina Commedia, al 1908 quello sui Racconti straordinari di Edgar Allan Poe, in seguito illustrerà il Macbeth e l’Amleto di Shakespeare (1911). Alcune di queste opere vengono esposte alle Biennali veneziane.
Contemporaneamente alla copiosa illustrazione di opere letterarie, collabora anche a molte riviste.
Nel 1910 tiene una personale a Roma.
Nel 1912 si dedica alla pittura a pastello, il tema prediletto è la donna–farfalla che compare anche in molte opere grafiche coeve.
Nel 1914 allestisce una personale in Inghilterra, paese in cui otterrà grandi consensi di pubblico e critica.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale esegue 54 litografie dal titolo Danza Macabra, stampate in formato cartolina e distribuite tra gli alleati come veicoli di propaganda contro l’Austria, particolarmente apprezzate dall’Ambasciatore inglese a Roma, ed esposte in Inghilterra in varie mostre.
Nel 1917 a Bologna, in attesa di partire per il fronte, si cimenta nella miniatura.
Dagli anni Venti inizia a realizzare costumi e scenografie per il teatro. Nel 1923 elabora l’idea del Tetiteatro un teatro sull’acqua dedicato alla dea del mare Teti, un progetto onirico da cui scaturiranno una serie di disegni.
Nel 1923 si reca a Parigi, dove è particolarmente vicino al gruppo Dada e al nascente Surrealismo, nonostante la vicinanza, Martini rifiuterà di essere inquadrato in ambito surrealista.
A Parigi trova molti estimatori, mentre in Italia il suo lavoro, assolutamente autonomo, rimane pressoché ignorato, si trasferirà nella capitale francese dal 1928 al 1934. In questi anni illustra le opere di Rimbaud, Baudelaire, Mallarmé e Hugo, e si occupa di arti applicate, con disegni per stoffe e carte da parati per l’industria tessile.
La produzione pittorica di questo periodo, esposta insieme ai surrealisti, verrà definita dalla critica francese, “maniera nera”, cui seguirà negli anni Trenta una “maniera chiara”.
Nel 1934 torna in Italia e, sebbene sia ufficialmente vicino al regime, porta avanti una feroce polemica contro il gruppo Novecento.
Nel 1936 illustra il libro Cuore di Edmondo De Amicis.
Negli anni Quaranta illustra opere a soggetto religioso, la sua pittura invece si farà più realista e tradizionale.
Muore nel 1954, lasciando un testamento spirituale in cui progetta l’allestimento del Museo Surrealista Italiano.