Mario Tozzi
Fossombrone 1895 – Saint Jean Du Garde 1979
La pittura è la sua passione fin dalla primissima infanzia, nel 1913 entra all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove stringe amicizia con Morandi, Licini e Pozzati
Nel 1919 si trasferisce a Parigi con la moglie, una ragazza francese, ritrova Licini, anche lui a Parigi, conosce Picasso e si interessa al Cubismo, in cui ravvisa un carattere statico e monumentale, e al Purismo.
Nel 1926 espone alla prima mostra del Novecento Italiano e, contemporaneamente, da vita ad un’associazione di artisti italiani a Parigi, che nel 1932 prenderà il nome di Les Artistes Italiens de Paris, volta al recupero della mediterraneità, in forte polemica sia con il Surrealismo che con De Chirico, che aveva affermato “la pittura italiana non esiste, ci siamo solo io e Modigliani, e siamo quasi francesi”. Alle numerose mostre in Francia e in Italia espongono Severini, Campigli, Licini, De Pisis, Giacometti.
La sua fama si internazionalizza, partecipa a moltissimi eventi espositivi, comprese tutte le mostre del Novecento, il governo francese gli conferisce la Legione d’Onore.
Nel 1935 torna in Italia e si dedica alla pittura murale, non è un caso che proprio in questi anni egli scriva saggi su Giotto, suo punto di riferimento insieme a Piero della Francesca. La pittura degli anni Venti e Trenta è incentrata sul volume e la plasticità, Tozzi applica i mezzi espressivi del Muralismo anche alla pittura, sia nei quadri di figura, popolati da soggetti femminili, sia nelle nature morte, con oggetti in primissimo piano che travalicano i limiti ottici e caricano le opere di suggestioni metafisiche.
In quegli anni la sua salute si aggrava ed è costretto a frequenti pause nella pratica pittorica, si ritira a Suna, scompare quasi totalmente dalla scena artistica ma continua a dipingere.
Nel 1958 una mostra alla Galleria Annunciata di Milano segna il suo ritorno, negli anni del lungo isolamento aveva elaborato una geometrizzazione degli spazi e della figura umana, semplificandola e astraendola in combinazioni di forme pure, che rimandano alle maschere dell’arte africana. L’accento passa dal volume alla struttura che sorregge la composizione.
Gli anni Sessanta e Settanta vedono una sempre maggiore esigenza di sintesi, le sue figure femminili sono totemiche, silenziosamente incastonate entro ardite intelaiature geometriche e pur sempre vitali, veicolano un senso d’irreale astrazione, la gamma cromatica è sempre più limitata, con una pennellata in piccoli tocchi, come se fossero tessere di un mosaico.
Il suo mondo poetico, geometrico e raffinato lo riporta, nonostante la lunga assenza, alla ribalta della critica e a riacquisire la centralità del suo ruolo nel panorama artistico italiano e francese.
Dal 1971 torna definitivamente a Parigi, muore nel 1979.